L’arte dell’invecchiamento:tra “declino e luminosa saggezza” punto di vista ayurvedico e antroposofico. di Gianfranco Di Paolo
Seduto quietamente, senza far nulla. Arriva la primavera e l’erba cresce da sola. afferma un detto zen che senza dubbio può sembrare un atteggiamento orientale di serena contemplazione, o più semplicemente una banale passività celata dalla necessità degli eventi. Si tratta, al contrario di altro: è una consapevolezza data dall’osservazione costante e profonda delle Leggi di Natura, quello che, nel contesto della tradizione occidentale, chiamiamo natura, in una prospettiva assoluta, non è altro che un «sogno» da contemplare alla luce di una consapevolezza definita; nella tradizione buddhista si tratta invece di Risveglio. Raggiungere l’Illuminazione significa osservare la personalità fenomenica quale elemento costitutivo del «sogno», riconoscendo la vera realtà mediante la consapevolezza generata dalla mente liberata dall’illusione. L’autoidentificazione del se con il Sè assoluto, rappresenta la visione della Verità, la quale subentra allorché l’Io viene trasceso. Sino a quando, dunque, nell’anziano si attribuirà valore sostanziale alla propria personalità e alla propria decadenza fisica si vivrà in conflitto con la vera realtà e proprio da tale contrasto scaturisce la sofferenza. «Risvegliarsi», quindi, significa nella terza età, imparare l’arte di saper vivere nella solitudine di un mondo dove quasi tutti sono ancora «addormentati». A tal proposito, un bellissimo verso della Bhagavad-gîtâ suona: "Quando per tutti gli esseri è notte, allora è sveglio l’asceta padrone di sé. Quando gli esseri sono svegli, è notte per il veggente silenzioso” Vivere senza limitazioni è una delle più grandi aspirazioni dell’uomo moderno, perché abitare il mondo come tendenza ontologica dell’uomo, avvicina il mondo fisico, oggettivo, a quello sensibile. La funzione dell’uomo diviene quindi una ricerca degli eventi in una dimensione ordinatrice che unisce la natura alle verità perdute. L’uomo non vive isolato, le esperienze non si possono trasmettere ma solo descrivere perché servano da stimolo ad esperienze personali. In India tutto ciò diventa un’ininterrotta tradizione che ci accomuna ad uno stato senza tempo in cui essere e ragione si fondono reciprocamente. Nascita, divenire e morte diventano unità inscindibile appartenente al Tutto, all’Insieme regolatore della Vita. Tra le molte esperienze dell’umanità, l’esperienza vedica può suscitare in noi un’azione di risposta. Sin dai primi verbi del Bhagavad-gîtâ, poema e testo fra i più antichi della letteratura indiana, si uniscono gli insegnamenti delle dottrine samkya e vedantiche, i veri e propri testi sacri, fino ad arrivare ai veda e alle upanishad cosiddetti libri santi; in questo libro si narra sotto forma di un dialogo, riferito da una terza persona, la storia del Krishna. Attraverso le risposte avvedute di Krishna ad Arjuna, detto l’arciere, figlio di Pandu, si dipanano gli insegnamenti nel senso del sacrificio e delle buone azioni. L'interlocutore divino, Krishna, è uno dei molteplici aspetti di Dio o dell'Assoluto che "prende corpo", o sembianza, come Avatara per illuminare e riportare alla corretta comprensione gli uomini desiderosi di Conoscenza. La manifestazione di un’Incarnazione (Avatara) di Dio si mostra allo scopo di attualizzare la verità delle Scritture e offrire occasione di riconoscimento della Realtà, non solo attraverso la speculazione filosofica pura, che può essere inaccessibile a molti, ma anche mediante pratiche yogiche o devozionali che assecondano le predisposizioni individuali. Tale insegnamento si realizza nella Conoscenza, non prevede tecnicismi e osservanze, e punta direttamente a fare dell'esperienza uno strumento di elevazione della coscienza. La caratteristica più saliente del testo è l’importanza attribuita alla saggezza, manifestazione del Sé assoluto e della Trascendenza, che si palesa nella manifestazione umana divenuta capace di regolare i flussi della vita e della conoscenza, nella quale si rinchiude la saggezza divina stessa. La scienza vedica, che nell’Ayurveda si concretizza come scienza medica, pronta con i suoi insegnamenti a regolare i ritmi fisiologici della vita umana, insegna ad armonizzare con le sue tecniche, dalla fitoterapia allo yoga, dal panchakarma alla meditazione, dal Kaya Kalpa allo Nadi Vigyan o diagnosi del polso, le opposizioni costanti della vita: decadimento e invecchiamento, malattia e salute. È proprio nell’approccio e nello studio delle oscillazioni umane e nell’equilibrio dei Dosha (Vata, Pitta e Kapha) che trova la sua spiegazione più esplicita la comprensione della terza età, non più intesa come decadimento psico-fisico degli elementi fisiologici dell’uomo, ma raggiungimento e obbiettivo finale dello svolgersi della vita, vissuta nella più completa armonia con la Natura e con il Sé. Attraverso la conoscenza del sé interiore si giunge alla conoscenza del Sé assoluto: unità e molteplicità si fondono e si armonizzano per dare attraverso la luce della Saggezza e della Sapienza la ricerca della verità interiore. Esse ci invitano a essere ricercate e trovate affinché l’uomo possa raggiungere, attraverso esse, quell’equilibrio nascosto e recondito che possa dare luce a quell’istante specifico della vita rappresentato dalla vecchiaia. Quest’ultima diventa periodo di splendore nel momento in cui l’essere umano si riconcilia con se stesso e impara a comprendere maggiormente la sua esistenza e la finalità che essa racchiude. La scienza Vedica e l’ayurveda, antica di quasi cinquemila anni, matura e si affina nel mondo occidentale con la medicina Ippocratica, con quella alchemica di Paracelso e infine con la Scienza dello Spirito di R.Steiner: l’Oriente incontra l’Occidente e determina il ricongiungimento dell’indissolubile verità della Vita. Ciò che il bruco chiama “fine del mondo”, per il resto del mondo è una bellissima farfalla (L. Tze) L’essere chiusi in sé porta all’incapacità di incamminarsi verso la Vita e i segreti che essa rinchiude: aprirsi alla vita significa, come ci indica R.Steiner, diventare liberi da se stessi e dai legami che il corpo fisico determina. Alba e crepuscolo, principio e fine, vita e morte si ricongiungono in un’indissolubile verità: l’essenza unica e immanifesta della continuità dell’Immanente, del Divino nell’umano. “Tornare alla radice è quiete, il che vuol dire restituire il mandato, restituire il mandato è eternità.” (Tao Te Ching) Come il bambino cresce e matura diventando uomo attraverso il suo corpo fisico e quello vitale, detto in antroposofia “eterico”, (in India chiamato Prana, in Cina Chi) così l’anziano raggiunge la maturità interiore attraverso la trasformazione delle sue componenti corporee: le forze vitali, organiche vengono utilizzate per sviluppare le forze interiori di natura spirituale. In R .Steiner il raggiungimento dell’ “uomo spirituale” significa arrivare al corpo assoluto dell’immortalità, al raggiungimento del vero Sé, con la possibilità di trascendere e di superare i livelli precedenti. E’ lo stesso concetto di trascendenza e di pura coscienza che troviamo ad esempio anche nella Meditazione Trascendentale di Maharishi. “Ciò che riposa nascosto nell’anima umana e che aleggia come la grande mèta dell’umanità è il “Padre nel cielo”. Se l’uomo vuole evolversi a tanto, deve avere la forza di sviluppare le sue tre parti costitutive superiori(il Sé spirituale, lo spirito vitale e l’uomo spirituale) e le quattro inferiori (corpo fisico, eterico, astrale, Io) fino al punto che esse possano conservare giustamente il corpo fisico, che il corpo eterico o vitale possa vivere nell’uomo in modo che vi sia un pareggio con il debito che vive in lui, che il corpo astrale non cada in tentazione, che il corpo dell’Io si liberi dal male. L’uomo deve tendere verso l’alto, verso il Padre nei Cieli, con le sue tre parti costitutive superiori, attraverso il nome, il regno e la volontà. Il nome deve venir sentito in modo da essere santificato. …Come nel mondo la luce si manifesta in sette colori e il suono in sette note, cosí la settemplice vita umana che si eleva a Dio si esprime nei sette diversi sentimenti di elevazione che si riferiscono alla settemplice natura umana, nelle sette domande del “Padre nostro”. Rudolf Steiner L’anziano che vede la sua decadenza avvicinarsi e le sue forze che man mano si spengono parzialmente dalla malattia o totalmente dalla morte, giunge frequentemente ad uno stato spirituale particolare, ad un’attitudine morale che non può essere qualificata che come rassegnazione, un genere di consapevole, doloroso distacco da tutte le cose amate, forse spesso dagli ideali che si sono coltivati. Si rimpiange, nella maggior parte delle persone fra i sessanta e settant'anni, di non poter più lavorare con altrettanto slancio, di non poter più fare tutto ciò che generalmente si faceva nel pieno del vigore fisico. Questa condizione spirituale si manifesta in molti dettagli della vita quotidiana e può estendersi fino a oscurare l'esistenza sia dell'interessato, sia di chi gli sta vicino. In altri casi, il declino delle facoltà può condurre a dei conflitti interiori e si è troppo facilmente inclini a mentire a se stessi e a ingannarsi. Per prima cosa bisogna coltivare molto di più di quanto si faccia, la conoscenza di sé, la compassione e la pazienza, virtù descritte in modo mirabile negli antichi testi ed in seguito sostituire la "rassegnazione dolorosa" (Norbert Glas) con ciò che si potrebbe chiamare un distacco serenamente accettato. La rinuncia dovrebbe unirsi ad un'attesa fiduciosa di ciò che viene, quando il ciclo di evoluzione della vita terrestre è compiuto. Chiunque sia capace di afferrare in tutta la sua profonda portata il destino dell'uomo ne riconoscerà sempre la saggezza e soprattutto la giustizia. Il demonizzare la vecchiaia nella sua essenza fisica porta a denigrarne anche le virtù sapienziali, a svilirne il patrimonio di qualità interiori che ogni individuo accumula e affina nel ciclo di un'intera esistenza. Oggi si dà poco o nullo credito ai vecchi, che negli attuali schemi previdenziali finiscono persino con l'attirare su di sé l'indebita taccia di oneri parassitari per la società in cui vivono. È ormai un'icona del mito, sorpassata e abusata, l'immagine di Enea che porta sulle spalle il padre Anchise fuggendo da Troia in fiamme. Fino a tempi recenti, nelle comunità si ricorreva all'esperienza degli anziani, che tante ne avevano viste e sofferte, per attingere a un sapere collaudato sulla propria pelle e non per sentito dire. Oggi invece non ci si affida più a questa risorsa di saggezza, in quanto la senescenza è divenuta sinonimo di demenza. E spesso sono gli stessi vecchi ad alimentare questo pregiudizio, facendo di tutto per enfatizzare un certo vitalismo esteriore e deteriore ai danni di una’interiorità forgiata dalle vicissitudini esistenziali. Finalità e scopo delle terapie di ispirazione antroposofica, dalla medicina all’euritmia, dal massaggio all’arte-terapia, è riequilibrare un processo che può tendere sia verso un decadere delle forze di “vita” oppure verso una loro trasformazione in irraggiamento spirituale: lo sviluppo psico-spirituale approfitta delle forze liberate dal controllo delle costituenti fisiche per evolversi attivamente e consciamente. La rincorsa affannata e senza etica del nostro mondo scientifico alla ricerca del mito dell’eterna giovinezza, di faustiana memoria, non deve far deviare dal giusto cammino della ricerca scientifica: come affermava Nicola Tesla, “la scienza diventa perversione se non ha come fine ultimo il miglioramento psico-fisico dell’uomo e dell’umanità”. Le scoperte del mondo scientifico comunque ci permettono di confermare anche le teorie che dal mondo della scienza antroposofica ci pervengono. La scoperta di proteine regolatrici dei sistemi ossidativi come la proteina AC5 (5 adenil ciclasi) che privata nei topi determina una maggior produzione di un’altra proteina denominata ERK2, provoca una regolazione dei processi ossidativi endo-cellulari e quindi una maggiore longevità; la scoperta del sistema ubiquitina/ proteosoma che permette di determinare i processi di riparazione della cellula nei processi di ossidazione; l’individuazione di geni specifici, come SIRT3 e SIRT4, che attivati in condizioni di stress dovuto alla privazione di sostanze nutritive, proteggono dall’innescamento dei processi di invecchiamento; del processo dell’apoptosi. Queste scoperte ci permettono di intuire ciò che stiamo sostenendo e cioè che la privazione e la liberazione dal “corpo” porta all’apertura del “cuore”. La scienza ci permette di carpire i segreti dell’uomo e del suo processo “entropico”, ma non ci apre le porte della comprensione del suo microcosmo interiore, nascosto da una fragile volontà di eternità. Chi ha saputo venerare e pregare da bambino, sarà benedetto nell’età che avanza (R.Steiner) Se sappiamo guardare con pazienza, intimità, delicatezza “negli occhi degli anziani, vediamo la luce” (V.Hugo),una luce dolce e tenue, una luce stellare che asseta l’anima. Il crepuscolo alle porte dell’uomo liberato da tutte le passioni, da ogni egoismo, determina nelle persone anziane, attraverso la loro presenza calma, paziente e serena, l’irraggiare di una luce profonda e generosa dove fruttifica il mistero del tempo e dove la lampada dell’anima può leggermente spegnersi.